I Celti misuravano il tempo partendo dal buio per risalire poi verso la luce, per loro il giorno iniziava con il tramonto e anche il calendario celtico si suddivideva principalmente in due grandi periodi, quello buio invernale e quello della luce.
Il punto mediano tra lo Yule, il solstizio d’inverno e l’Ostara, l’equinozio di primavera, era chiamato Imbolc, la festa della luce crescente e dedicata alla dea Brigit, guardiana del triplice fuoco.
Il suo soprannome era Belisama e una leggenda narra che a lei fosse dedicato quel luogo sacro dove oggi sorge il Duomo di Milano e sempre a lei si deve la profezia che portò il principe celtico Belloveso a fondare la città meneghina.
La dea Brigit era la patrona delle Tre Arti legate al fuoco, Guarigione, Ispirazione e Forgia, il suo simbolo era una croce che in occasione di Imbolc veniva riprodotta con rami e erba secca, di forma quadrata al centro e quattro diramazioni verso l’esterno.
Alla dea Brigit vennero dedicati molti luoghi tra i quali la Brianza, il cui nome deriva da Brigantia, ovvero come i Celti chiamarono la dea Brigit quando stanziarono in Italia.
Quest’anno la festa di Imbolc cade il 1° e due febbraio, giorno della Candelora, il cui nome deriva da “candelorum“, la benedizione delle candele, simbolo di Cristo “luce per illuminare le genti”.
Sin dal Medioevo il 2 febbraio a Milano si teneva la processione con le candele per celebrare la Presentazione di Gesù al Tempio, avvenuta 40 giorni dopo la sua nascita e la Purificazione della Vergine Maria.
La tradizione voleva che la processione della Candelora fosse considerata dai milanesi la festa della fine dell’inverno e guardando il cielo pronosticavano quanto lontana o vicina fosse la primavera, dando origine al proverbio che ho scelto come titolo di questo articolo.
Queste due feste, una celtica e l’altra cristiana, condividono la stessa data e anche il passaggio dal buio dell’inverno alla luce primaverile e nelle celebrazioni di entrambe troviamo la luce delle candele bianche.
Oggi osservavo i fiori del mio balcone: splendide Rose di Natale o Elleboro, simbolo dell’inverno e le e primule che fanno compagnia all’arbusto rampicante del gelsomino, fiori che con i loro petali a forma di cuore sono le icone della primavera. Pare si siano sincronizzate per essere fiorite entrambe in occasione di queste celebrazioni cristiane e celtiche, quasi volessero simboleggiare il passaggio di mano delle due stagioni,
Amo la luce ma anche la penombra ed il buio che mi dona un senso di tranquillità. Oggi un bellissimo sole celebra queste feste, che hanno radici profonde in Insubria e in modo particolare in Lombardia, tradizioni che non andrebbero dimenticate.
Emanuela Trevisan Ghiringhelli


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