Mono no aware, la bellezza dell’impermanenza


Quanto è bella la piantina di Olmo che questa primavera è sbocciata tra gli autobloccanti davanti al nostro garage. Così piccina, che per germogliare ha cercato e trovato una breccia con tenacia tra stretti pazzi di cemento, ha un fascino particolare nella sua caducità autunnale, mi trasmette la consapevolezza dell’effimero, ricordandomi che rapidamente tutto cambia, in questo caso seguendo i ritmi della natura.
Esiste un’espressione giapponese che potrebbe essere la traduzione de “la bellezza dell’impermanenza”. É “Mono no aware” (ものの哀れ) un concetto filosofico che si rispecchia anche nel buddhismo zen e si riferisce alla consapevolezza della natura fugace dell’esistenza, accettandola e accogliendo serenamente l’impermanenza della vita.
La meditazione mi ha insegnato ad accettarla e ancor di più quando pratico una camminata meditativa osservando la natura e percependo le emozioni intense che mi trasmette, date anche dai repentini e lievi mutamenti della temperatura passando da una zona più soleggiata a una in ombra. Potrei affermare che ho imparato a scacciare la malinconia dei momenti che consideravo tristi, focalizzandomi solo sul presente e senza pensare a quel che sarà domani. La mia sensibilità è aumentata, così pure l’empatia e la gratitudine, tre concetti che mi fanno apprezzare ogni giorno della vita, i cambiamenti del mio corpo che invecchia e persino ad abbracciare la malattia, affinché possiamo camminare insieme verso la guarigione.
Avere la consapevolezza del lato effimero dell’esistenza, che tutto cambia come insegna la natura e il tempo, mi fa vivere con positività e apprezzare ancor più la bellezza e quelle emozioni che la vita mi dona ogni giorno e che spesso arrivano dalle piccole cose.
Desidero terminare questo mio scritto riportando una riflessione del monaco zen vietnamita Thich Nhat Hanh, che riteneva l’imparmenenza fosse una benedizione:

«Niente rimane uguale per due momenti consecutivi.
Eraclito sosteneva che non possiamo mai bagnarci due volte nello stesso fiume.
Confucio, osservando la corrente, disse: “Scorre incessantemente, giorno e notte”.
Il Buddha ci ha esortato a non limitarci a parlare dell’impermanenza, ma ad usarla come strumento per aiutarci a penetrare profondamente nella realtà e ottenere una visione interiore liberatoria. Potremmo essere tentati di dire che la sofferenza esiste perché le cose sono impermanenti.
 Ma il Buddha ci ha incoraggiato a dare un ulteriore sguardo. Senza l’impermanenza la vita non sarebbe possibile. Come potremmo trasformare le nostre sofferenze se le cose non fossero mutevoli? Come potrebbe tua figlia trasformarsi in una splendida, giovane donna? Come potrebbero migliorare le condizioni del mondo? Abbiamo bisogno della mutevolezza perché ci sia giustizia sociale e speranza.
Se tu soffri, non è perché le cose sono impermanenti. Soffri perché credi che le cose siano durevoli. Se muore un fiore, tu non soffri molto, perché capisci che i fiori sono impermanenti, ma non riesci ad accettare l’impermanenza della tua amata, e soffri profondamente quando lei ti lascia.
Se guardi a fondo dentro all’impermanenza, farai del tuo meglio per renderla felice proprio ora, in questo momento. Consapevole dell’impermanenza, diventi positivo, amorevole e saggio. Impermanenza significa “buone nuove”. Senza impermanenza, nulla sarebbe possibile.
Con l’impermanenza, ogni porta è lasciata aperta per il cambiamento.
L’impermanenza è uno strumento per la nostra liberazione.»

Emanuela Trevisan Ghiringhelli

Un pensiero riguardo “Mono no aware, la bellezza dell’impermanenza

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  1. Cerco di fare mie le tue riflessioni. A un OM se si eliminano le antenne, si eliminano tante possibilità. A causa di un plinto difettoso posto male sulla soletta sotto tetto, ho dovuto rinunciare al traliccio da 6 m, con quasi tutte le mie antenne. Panta rei: sono giunto a 75 anni, e voglio vivere tranquillo la mia esistenza. Ormai non ho più decenti possibilità da OM. Restano i ricordi e le qsl…

    Ma c’è chi perde molto più di me… lo devo ammettere.

    Il mio professore di archeologia fu Mario Napoli, che tra i tanti ritrovamenti poteva vantare la città di Parmenide, Elea. Ebbe la ventura di dare il nome di sua moglie alla porta, un percorso di 6-8 m nella parte superiore, verso l’acropoli, inferiormente composta ad arco ‘spesso’, per la strada che l’attraversa. Ebbene, la porta Rosa è di roccia grigia, ma tanti non conoscono il motivo del bisticcio…

    Parmenide, essere e divenire… Napoli se ne andava nel 1976, ancora giovane con figli giovani, 15 giorni prima della mia seduta di laurea! Ho sofferto molto per questa scomparsa.

    Tu hai ragione a dire che non dobbiamo farci atterrare dalla scomparsa, ma io non riesco…

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