Non potevo trascorrere in casa il primo giorno di primavera, tanto più splende il sole e anche se la temperatura è freddina, m’invita ad uscire per celebrare l’equinozio simbolo della rinascita della natura. Complice la mia immensa voglia di lago, ho scelto di fare quattro passi ad Angera nell’orario di pausa pranzo (per chi lavora!), per non trovare troppa gente in giro e godermi nel silenzio la bellezza del Verbano e la graziosa cittadina lacustre.
Salutata da una simpatica oca poco conciliante, sono immediatamente rapita dal sole che brilla tra i rami ancora spogli e danzanti nel cielo azzurro, quasi volessero dare il benvenuto alla primavera. Adoro cercare la luce che filtra tra glia alberi, komorebi come lo chiamano in Giappone, uno stato d’animo che mi infonde gioia.




Attratta dalla superficie dolcemente mossa del lago, mi soffermo ad ammirare quell’isolino Pantegora, dove una leggenda racconta un tempo si rifugiasse Radegonda, figlia di un nobile signore che viveva nella Rocca, per sfuggire al marchese Margolfo, che era solito chiedere nuove tasse agli angeresi e se questi non riuscivano a pagare nei tempi richiesti, faceva incendiare dai suoi armati, campi, prati e case. Un giorno una fitta nebbia impedì a Radegonda di vedere dall’alto della Rocca la nuvola di polvere che annunciava l’arrivo di Margolfo e quindi di rifugiarsi sull’isolino. Il marchese, vedendola, decise di sposarla e il padre, seppur a malincuore gli concesse in moglie l’amatissima figlia. La giovane era in preda alla disperazione e poco prima delle nozze, decise di recarsi per l’ultima volta sull’isolino Pantegora per dire addio ai pioppi, ai cigni che avevano nidificato nel canneto e all’usignolo che la rallegrava con il suo canto. Ma quella sera l’usignolo non c’era e alzando gli occhi al cielo per cercarlo, Radegonda vide soltanto le nuvole che scorrevano veloci al di sopra dei rami, finché scorse una nuvole bianca luminosissima, che scendeva sull’isolino. Abbagliata da tanto splendore chiuse gli occhi e quando li riaprì, si trovò accanto il principe delle nuvole, un bellissimo giovane che, impietosito dalle sue lacrime, la confortò. Da quella sera Radegonda passò le sue giornate all’isolino, dove poteva dimenticare le imminenti nozze grazie alla compagnia del giovane principe.
Giunto il giorno del matrimonio, Margolfo non trovò la sua promessa sposa ad attenderlo e nessuno volle rivelargli dove fosse, tranne una vecchia malvagia che dalla sua casa in riva al lago si accorse che mancava tra le barche ormeggiate quella di Radegonda.
Il marchese venne così a conoscenza del suo nascondiglio segreto e sceso in riva al lago, iniziò a chiamarla, ma la giovane non gli rispose anche quando capì, da un forte sciacquio, che Margolfo si era tuffato e stava nuotando vero l’isolino.
Fu allora che il principe delle nuvole chiese aiuto alle sue sorelle, le nuvole nere. Il cielo sopra Angera improvvisamente si coprì da cupe nubi temporalesche e un fulmine colpì Margolfo che si inabissò nel lago.
Tutta la popolazione si rallegrò per la fine del tiranno, ritenendo che con lui fossero finiti anche i loro guai, ma non andò così. Alcuni anni dopo quel tratto di lago venne colpito da una grande siccità, le acque si abbassarono notevolmente al punto che un pescatore fece appena in tempo a evitare uno scoglio che emergeva di cui non si era mai accorto e osservandolo bene da vicino, vide inciso sulla roccia: Quando mi vedrete, piangerete. Quell’anno gli abitanti di Angera piansero davvero per i campi aridi. Ancora oggi quando quel sasso affiora dall’acqua del lago, i campi sono arsi e l’erba cresce a stento, rendendoli simili a come si presentavano dopo le terribili scorrerie di Margolfo.









Dopo aver passeggiato sul lungolago ci siamo addentrati nel caratteristico centro storico, con i suoi murales, opere dello street Artist Andrea Ravo Mattoni, tra le quali opere spicca la riproduzione de Il fanciullo con canestro di frutta del Caravaggio, realizzata con oltre 180 bombolette spray.
Soddisfatta e di essermi goduta il lago con il suo panorama su Arona, di aver odorato il profumo del passato nel centro con la sua bottega storica ultracentenaria e grazie al piccolo museo a cielo aperto, me ne torno a casa soddisfatta per aver dato il mio benvenuto alla primavera ad Angera.
Emanuela Trevisan Ghringhelli


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