Scegli un lavoro che ami e non dovrai lavorare neppure un giorno in vita tua – L’epilogo


Era un pomeriggio di febbraio del 1987, stavo lavorando a maglia come sempre, un lavoro che facevo per racimolare qualche soldo per i miei vizi. Suona il citofono, vado a rispondere e sento: «Ciao Emanuela, sono la Gina!!!!» Era la prima volta che udivo la Signora presentarsi per nome, le apro, sale, le vado incontro sul pianerottolo e mi saluta con la solita stratta di mano molle.
Una volta accomodata e rifiutato un caffè (forse memore dello scherzo che avevo fatto al marito), arriva al dunque: «Vorrei proporti di tornare a lavorare da noi. Premetto che non avrai più a che fare con mio marito, ti occuperai del commerciale». Le chiedo di lasciarmi qualche giorno per pensarci e dopo averne parlato con mio marito, accetto la proposta.
Effettivamente per il mio capo era come se non esistessi, solo i saluti di rito. Intanto iniziavano a girare voci che volessero vendere l’azienda e nel giro di un paio d’anni è andata così.
Con la nuova proprietà le colleghe del mio primo giorno di lavoro erano state quasi tutte sostituite, chi per pensionamento o per dimissioni volontarie. Daniela, assunta poco dopo di me per sostituire una maternità, ora si occupava della contabilità, mentre Claudio delle paghe e per ultima è arrivata Anna al centralino e bolle di consegna. Oltre ad essere colleghi eravamo soprattutto amici, spesso ci si ritrovava per una serata anche in compagnia dei rispettivi consorti e figli. Al gruppo si è poi aggiunto anche Roberto, il capo reparto delle spedizioni, con il quale avevamo condiviso anche un’indimenticabile vacanza estiva in Austria.
Nella mia esperienza lavorativa ho sempre cercato di rubare il lavoro, avevo sempre fame di imparare di tutto. L’unica mansione legata ai miei studi che esercitavo, era quella di fare traduzioni anche tecniche e sbrigare la corrispondenza in tedesco e inglese, per il resto ero consapevole di non aver avuto una preparazione scolastica commerciale, quindi dovevo metterci sempre il massimo impegno. In poco tempo mi arrangiavo a fare un pò di tutto, finché un giorno mi hanno proposto di occuparmi anche della programmazione.
Il lavoro mi piaceva e l’intesa con i colleghi era perfetta, troppo bello per essere vero. Come sempre il bel gioco dura poco ed ecco che ritorna in azienda un ex capo reparto, che sapendo vendersi bene, si era guadagnato il posto di direttore, pur non godendo della stima dei suoi colleghi, consapevoli delle sue scarse capacità. Conosceva tutta la mia storia lavorativa, non apprezzava che mi occupassi della programmazione, a suo parere senza averne titolo e nulla potendo fare per farmi togliere tale incarico, mi ha preso di mira con continue angherie per stancarmi. Alla fine ce l’ha fatta e ho iniziato a guardarmi in giro cercando un nuovo lavoro, che ho trovato in poco tempo.
L’ultimo giorno di lavoro ho pianto come un vitello, mi spiaceva lasciare quell’ambiente, ma non potevo più sopportare le ripetute pesanti offese quotidiane.
Mi sono resa conto quasi subito di non aver fatto un grosso affare a cambiare posto di lavoro. La mia mansione di addetta alle vendite Italia non mi piaceva affatto, pur mettendoci sempre il massimo impegno per svolgerla al meglio. L’azienda, sempre del settore metalmeccanico, era di grandi dimensioni, i colleghi erano tanti, di simpatici e sinceri ben pochi. Si potevano contare sulle dita di una mano monca.
Alla fine questo lavoro me lo sono fatta andar bene per diciotto anni, anche se il clima dell’ambiente peggiorava sempre più e dopo essermi rovinata la salute per la seconda volta, ho optato per la pensione anticipata con Opzione Donna.
Nella mia vita non ho mai provato invidia, è un sentimento che non mi tocca. Il bene più prezioso che abbiamo è la salute, denaro e lusso non fanno la felicità, pertanto mi sono sempre accontentata di quello che avevamo.
Però a pensarci bene un pò invidiosa lo sono, di quelle persone che hanno la fortuna di fare un lavoro che amano, avvalorando la citazione di Confucio.
Fortunatamente sono nata in un’epoca che il posto fisso non era un miraggio come ora, se ci si accontentava, non era difficile trovarlo. Per ben due volte nella vita ho avuto la possibilità di fare la professione che amavo, la fotografa ed in entrambi i casi le mie ali sono state tarpate dai miei genitori, mettendomi un veto, in quanto non ritenuta una professione femminile.
Alla fine questa è la più grande amarezza.

Emanuela Trevisan Ghiringhelli

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