Già da qualche anno mi ero iscritta alla fornitissima biblioteca del mio paese, Azzate, ma non avevo ancora avuto l’occasione di usufruirne. I miei studi delle filosofie orientali hanno fatto sì che acquistassi i libri, per poi poterli consultare ogni volta che sento il bisogno di leggere questi testi.
Qualche settimana fa ho visto un documentario di Geo ambientato in Valle d’Aosta e precisamente a Estoul, frazione di Brusson, a circa 2000 metri di altitudine, un luogo magico, dove chi ama la montagna come me, vorrebbe viverci e dove abita Paolo Cognetti, autore di Le otto montagne, vincitore del Premio Strega nel 2017.
Non ne avevo mai sentito parlare e mi sono precipitata in biblioteca a ritirare questo libro vissuto, che sin da quando lo preso in mano la prima volta mi ha suscitato una bellissima sensazione, la stessa che ho percepito quando ho iniziato a leggerlo, quasi entrassi in sintonia di chi mi ha preceduto nel toccare quelle pagine ormai ingiallite.
La storia narra di di una grande amicizia tra due ragazzi, Pietro di Milano, che si reca ogni anno in vacanza in estate a Grana, sperduta località ai piedi delle Cime del Grenon (nomi di fantasia) e Bruno un ragazzo che in quel piccolo agglomerato di baite era nato e viveva finché in estate si trasferiva negli alpeggi in quota.
Pietro si avvicina alla montagna grazie agli insegnamenti il padre, che lo raggiunge ogni fine settimana e nel periodo di ferie nella baita presa in affitto ed in cui trascorre l’estate con la mamma. Gli insegna i segreti per salire in quota, gli trasmette il suo amore per la montagna anche se percepito in modo diverso dal figlio, ovvero allo stesso modo di Bruno, fatto di esplorazione e conquiste la raggiungere.
All’improvvisa morte del padre per infarto, avvenuta dopo vent’anni di frequentazioni delle Cime del Grenon, Pietro scopre che il genitore le ha lasciato una proprietà sperduta e a lui sconosciuta sopra la località di Grana. Grazie all’aiuto di Bruno, che ne era a conoscenza, arriva a questa proprietà che risulta essere un rudere diroccato e abbandonato. Per onorare il dono paterno decide di renderlo abitabile, accentando la proposta dell’amico, che da qualche anno aveva iniziato a lavorare come muratore, che si offre di restaurare gratuitamente quel rudere, “la barna”, purché l’amico l’aiutasse ogni giorno durante i mesi estivi. Sebbene Pietro non avesse mai lavorato nell’edilizia, accetta la proposta ed inizia il duro lavoro di demolizione e ricostruzione. Berio, così Bruno aveva battezzato Pietro, si occupa di recuperare il materiale edilizio a valle e portarlo in quota caricandolo sul dorso di un mulo, dà una mano all’amico nella costruzione della barna e una volta terminata vi pone una targa in ricordo del padre,
Da questo momento le frequentazioni di Bruno e Berio si diradano, in quanto quest’ultimo ottiene il tanto sospirato incarico di documentarista sul Himalaya, lavoro che lo porta più volte sulle alte montagne del Tibet, ma ad ogni ritorno in Italia si ritira nella barna alle pendici delle Cime del Grenon, che spesso scala con l’amico di sempre ripercorrendo quei sentieri che aveva scoperto con il padre. Bruno nel frattempo ha lasciato il lavoro da muratore, con la compagna e la figlioletta si è trasferito in alpeggio, acquistato una mandria di mucche e avviato un’attività idi produzione di formaggi. Berio riparte per l’Asia per girare un altro documentario sul Himalaya e nel corso una telefonata all’amico, capisce che qualcosa non va, quindi non esita a ritornare a Grana. La produzione di formaggi non dava profitti sufficienti per pagare i debiti e il sostentamento della famiglia, quindi Bruno si vede costretto a chiudere l’attività per fallimento, la compagna lo lascia e torna dai genitori con la figlia, quindi rimasto senza più nulla chiede a Berio di potersi trasferire nella sua barna, dopo averla nuovamente sistemata dai danni causati dalle slavine invernali.
Mi fermo qui, per non rivelare il finale di questo bellissimo libro che mi ha coinvolto in una lettura entusiasmante che mi ha riportato in quei luoghi valdostani che ho tanto amato nelle numerose escursioni di trekking che rimarranno sempre un dolce e indelebile ricordo di quelle montagne che ho iniziato a frequentare da piccolissima, come lo testimonia la foto ricordo che ho voluto includere nell’immagine di copertina, che mi ritrae nel 1962 a Gressoney, nella stessa Val d’Ayas ai piedi del Monte Rosa dove ora vive Paolo Cognetti.
Emanuela Trevisan Ghiringhelli


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