Il Tarassaco e i suoi fiori, icone del Sole e della Luna


Il nostro piccolo giardinetto condominiale è un bellissimo tappeto di pratoline e fiori di Tarassaco, fosse per me non lo farei mai falciare, per non spezzare la vita a questi meravigliosi fiori spontanei.
Il Tarassaco mi evoca i ricordi di nonna Ida, che adorava il “pissacan” saltato in padella con olio e aglio, un contorno che non mancava mai sulla sua tavola per accompagnare qualsiasi pietanza.
Erano ancora gli anni in cui l’inquinamento era moderato e lo si poteva raccogliere ai lati delle strade e nei piccoli lembi di prato del quartiere di Quarto Oggiaro a Milano dove abitavano i miei nonni.
Noto anche come “dente di leone”, il suo nome scientifico è “Taraxacum officinale” che ha radici nel greco antico, derivando da “taraxis”e “akos”che significano rispettivamente “scompiglio” e “cura”, un’etimologia che riflette le sue proprietà e che ha coniato il termine di tarassoterapia, una pratica dall’effetto positivo sull’equilibrio dell’organismo, portando ordine dopo uno scompiglio. 
Infatti questa pianta è nota per avere un effetto depurativo, spesso impiegata nei casi di ipercolesterolemie, per dissolvere i calcoli alla cistifellea e come stimolante del deflusso della bile.
Sebbene con le sue fioriture ci accompagna dalla primavera all’autunno, è la pianta simbolo del solstizio d’estate e nel linguaggio dei fiori il Tarassaco simboleggia la speranza e la fiducia. Infatti in antichità si era soliti esprimere un desiderio che si sarebbe esaudito se con un solo soffio sul soffione fossero volati via tutti i semi.

Nella mitologia greca il Tarassaco nasce dalla polvere sollevata dal carro di Elio, Dio della luce solare e una leggenda si narra che Teseo mangiò per un mese solo fiori di Tarassaco che lo resero forte al punto di affrontare e sconfiggere il Minotauro uccidendolo e riuscendo a scappare dal labirinto di Cnosso.
Ma c’è anche una bellissima leggenda legata alla Creazione, quando Dio, giunto al terzo giorno e stanco, doveva ancora assegnare il colore ad un fiore, quello di Tarassaco, in quanto la pianta non aveva ancora dato una risposta al Creatore sul colore scelto. Dio si stupì di questa indecisione, in quanto sapeva che il Tarassaco era una pianta semplice che viveva nei campi e destinata ad essere cibo prezioso per i contadini, quindi non era un tipo vanitoso e capriccioso. Gli chiese nuovamente di che colore volesse essere e il Tarassaco rispose che aveva riflettuto a lungo e dopo aver ammirato a lungo il Sole, così stupendo e luminoso, avrebbe voluto essere come lui. Poi la notte ammirò la Luna, bianca, perfettamente sferica che vegliava sul mondo nelle ore più buie come fosse una madre premurosa e pensò che avrebbe voluto essere anche come la Luna.
Dio rimase colpito dalle parole profonde del Tarassaco e non volle deludere quella sua creatura capace di stupirsi dinnanzi alla bellezza del Creato e fece sì che il suo fiore fosse giallo come il Sole appena sbocciato per poi trasformarsi in un bianco e sferico soffione come la Luna, che quando viene accarezzato dal vento fa volare nell’atmosfera tante piccole Stelle fluttuanti.
Il fragile soffione di Tarassaco rappresenta la fiducia, la forza, la speranza e la libertà per i suoi semi che vengono trasportati dal vento, simboleggiando anche gioia, spensieratezza e la capacità di accettare e affrontare i cambiamenti e le diverse fasi della vita.
Il Tarassaco è presente anche nella letteratura, nelle poesie “Il pallido gambo del dente di leone” di Emily Dickinson e “Il primo Dente di Leone” di Walt Whitman, oltre ad essere protagonista con il suo soffione nella fiaba “C’è differenza” di Hans Christian Andersen.
Se non si fosse capito, al di là dei miei dolci ricordi d’infanzia legati al Tarassaco, i suoi fiori, nella loro splendida metamorfosi che evoca il Sole e la Luna, sono i miei preferiti tra quelli spontanei!

Emanuela Trevisan Ghiringhelli

(Fonte: https://mammaoca.com/2011/05/06/ce-differenza-di-h-c-andersen/)

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