Amo leggere qualsiasi libro, purché sia cartaceo. Sono all’antica, mi piace percepire l’odore della carta e la sua consistenza girando le pagine. Devo avere anche la giusta predisposizione per affrontare l’argomento trattato, per potermi immergere profondamente nella lettura e sentirmi quasi in simbiosi con il racconto.
Il male accanto l’avevo acquistato un paio di anni fa, dopo aver letto l’opera prima di Massimiliano Comparin, I cento veli, il bellissimo romanzo giallo, sapientemente tessuto tra gli intrighi di un rapimento e la storia di Norma Cossetto, diventata simbolo delle violenza delle foibe. Avevo apprezzato così tanto questo libro, sia per i contenuti e lo stile di scrittura di Comparin, che pensavo di leggere immediatamente anche il suo successivo lavoro, ma non è andata così, non mi sentivo pronta per immergermi nella lettura di un tema duro, come quello della malavita organizzata.
Solo giovedì scorso, passando davanti alla mia piccola libreria, mi sono sentita inconsapevolmente attratta da Il male accanto e ho iniziato a leggerlo, finendolo in due giorni.
Ambientato principalmente nel paese dove ho vissuto per 42 anni, Buguggiate, mi sono sentita subito coinvolta nel racconto di Massimiliano, la storia di tre amici poco più che adolescenti, il Regiù, il Pera e il Ross, sviluppata negli anni che vanno dal 1974 al 1999, spesa tra oratorio, gare di motocross nei boschi di Villa Cagnola e attorno a una corte storica del paese, quella di via Sardegna, dove accanto alla spensieratezza dei tre “balóss” si stava radicando a loro insaputa la malavita, culminata la sera del 14 ottobre del 1974 con il rapimento di Federico Mezzato, al secolo Emanuele Riboli, per mano della ‘ndrangheta e ordinato da Giacomo Zagari.
Con una minuziosa raccolta e stesura dei verbali del Pubblico Ministero Armando Spataro, Comparin ha documentato gli interrogatori del pentito Z, quel Antonio Zagari, figlio di Giacomo. Testimonianze spietate di rapine, traffico di droga e armi, omicidi per mano di killer senza scrupoli, per finire con il tentato sequestro di Antonella Dellea. Gli scenari erano diversi, da Buguggiate, Malnate, Varese, Luino, la vicina Svizzera, fino al cuore della ‘ndrangheta in Calabria.
Tra le pagine delle inquisizioni scorre leggero il racconto della vita di paese, dei tre amici e delle loro famiglie, personaggi veri che, seppur citati con nomi di fantasia, sono facilmente individuabili da chi ha vissuto in quegli anni a Buguggiate o nei paesi limitrofi. L’epilogo dei tre “balóss” è triste: il bravo ragazzo del Regiù muore investito da un’auto dopo essersi fatto una famiglia con il grande amore della vita, la ex ragazza del Pera, quest’ultimo ormai famoso e rispettato grazie alla sua carriera criminale. Il Ròss ha pagato cara la sua ingenuità facendosi coinvolgere nel mondo della droga e muore prematuramente.
Questo libro non vuole essere solo il racconto della vita di un quarto di secolo in questo paese alle porte di Varese, bensì di come la ‘ndrangheta sia riuscita ad insinuarsi e radicarsi grazie al suo boss Antonio Zagari, perpetrando efferati delitti, rapine, spaccio e soprattutto sequestrando il giovane Emanuele Riboli, un rapimento non solo terminato nel peggiore dei modi, ma lasciando che gli esecutori materiali, condannati all’ergastolo in primo grado, finissero prosciolti per intervenuta prescrizione. Il fallimento della Giustizia italiana, che non è stata nemmeno in grado di restituire il corpo di Emanuele ai suoi genitori, una pagina nera culminata con le pubbliche scuse alla famiglia Riboli da parte del Sostituto Procuratore Generale, Francesco Maisto, al processo d’appello che si è tenuto a Milano nell’ottobre del 1999.

Grazie Massimiliano per questo bellissimo libro che mi hai fatto leggere tutto d’un fiato, deliziandomi con i tuoi racconti di quella Buguggiate che poco conoscevo, sapientemente intarsiato con i tragici i fatti di cronaca nera. Sono certa che anche il Regiù te ne sarà grato.
Emanuela Trevisan Ghiringhelli


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