Il kiwi, prezioso dono del generale inverno


Quanto è bello il kiwi! Tagliato a metà, appare un bellissimo fiore di un verde intenso impreziosito dai semini neri a raggiera e la columella centrale che spesso si presenta a forma di cuore.
Adoro il suo gusto, è molto salutare e amo consumarlo a colazione per iniziare bene la giornata. Ne bastano due al giorno per superare il fabbisogno giornaliero della preziosa vitamina C, dai forti poteri antiossidanti, fondamentale per la neutralizzazione dei radicali liberi.
La stessa quantità soddisfa anche la metà circa del fabbisogno di un altro importante micronutriente, la vitamina K, che ricopre un importante ruolo nella prevenzione dell’osteoporosi ed è fondamentale per la coagulazione del sangue. Questa preziosa vitamina ha la caratteristica di essere liposolubile, ovvero si scioglie nei grassi, pertanto per un corretto assorbimento è sempre necessario consumare i kiwi con della frutta secca o uno yogurt intero.
Le proprietà salutari di questo frutto non finiscono qui, è un’ottima fonte di fibre, di minerali quali il potassio e una discreta quantità di magnesio e manganese e non da ultimo, grazie al loro colore verde, possono vantare il contenuto di clorofilla, il pigmento vitale per le piante con possibili effetti anti-invecchiamento e folati, vitamine idrosolubili del gruppo B, fondamentali per la sintesi di proteine e DNA.
Non tutti sanno che questo frutto, che in realtà è una bacca della sua pianta, ha origini antichissime, infatti nel 1200 a.c. i primi a coltivarlo furono i cinesi nella valle del fiume Azzurro o Yangtse e per secoli fu considerato una prelibatezza alla corte degli imperatori, inoltre la sua pianta rampicante con le bacche marroni ricoperte da una corta e morbida peluria venne impiegata anche come ornamento.
Il kiwi (Actinidia chinensis) arrivò nella terra dei Maori solo nel 1904, quando la dirigente scolastica neozelandese Isabel Fraser, tornando da un viaggio in Cina, dove si recò in visita dalla sorella missionaria, introdusse per la prima volta “l’uva spina cinese” che venne chiamata come l’uccello dalle piume sottili e dal lungo becco, emblema del Paese australe.
Solo nel 1934 iniziarono le coltivazioni per la commercializzazione di questo frutto sulla costa orientale dell’Isola del Nord, a Te Puke, dove le condizioni climatiche sono ideali e si è guadagnata l’appellativo di “capitale mondiale del kiwi”.
Le coltivazioni nel nostro Bel Paese iniziarono solo nel 1960 e oggi l’Italia è il secondo produttore al mondo di kiwi, dietro alla Cina e seguito da Nuova Zelanda, Cile e Grecia, un fiore all’occhiello per la nostra agricoltura.
Un frutto così bello vanta anche una bella leggenda Maori.
Un giorno Tāne Mahuta, il Re della Foresta e di tutte le creature pennute che popolavano Waipoua si accorse che i suoi figli alberi stavano morendo, divorati dagli insetti che si annidavano tra le radici. Chiamate tutte le specie di uccelli che abitavano il bosco, disse loro: “Figli miei, c’è un male che affligge la nostra casa e solo il sacrificio di uno di voi potrà salvarla. Qualcuno dovrà rinunciare a volare alla luce del sole, per vivere a terra nel buio della foresta.”
Il Tui fu il primo a prendere la parola e scusandosi, disse di avere troppa paura del buio e amare così tanto il sole per rinunciare a volare. Lo seguì il Pipiwharaurora che spiegò di essere troppo impegnato a costruire il suo nido e anche il Pukeko rinunciò perché a terra c’era troppo fango e non avrebbe voluto finire con le zampe imbrattate.
“Lo faccio io,” disse il Kiwi. Tāne Mahuta gli chiese se avesse ben compreso a cosa avrebbe rinunciato e il piccolo Kiwi, alzando lo sguardo ai rami alti e alla luce del sole, confermò la sua coraggiosa decisione.
Da quel giorno il Dio e Re della Foresta obbligò il Tui ad indossare una piuma bianca al collo come emblema della sua codardia, al Pukeko dette zampe grandi e forti per vivere negli stagni e non permise al Pipiwharaurora di avere mai più un nido, lasciando le sue uova nel nido degli altri uccelli.
Il Kiwi perse le ali, ma per il suo coraggio divenne l’animale più famoso e simbolo della Nuova Zelanda e Tāne Mahuta per premiarlo del suo sacrificio, creò un frutto dolce dalle straordinarie proprietà che prese il suo nome e il suo aspetto.

Emanuela Trevisan Ghiringhelli

(crediti: http://www.smartfood.ieo.it, http://www.maholepeople.it, http://www.zipmec.com)

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