«C’è una crepa in ogni cosa, è da lì che entra la luce» così cantava nel 1992 il cantautore e poeta canadese Leonard Cohen nel suo brano Anthea, tratto dall’album Future, il suo ultimo lavoro prima di ritirarsi in un monastero buddhista sulle colline di Los Angeles.
Un inno che pare suggerire di imparare a riparare le crepe dall’arte giapponese del kintsugi, che grazie alla polvere d’oro enfatizza quelli che dovrebbero essere dei difetti dovuti alle rotture. Questa tecnica pare abbia origine nel XV secolo, quando, secondo una leggenda, l’ottavo shōgun dello shogunato di Ashikaga inviò ai ceramisti cinesi i cocci della sua tazza del tè preferita per essere riparata e insoddisfatto del lavoro, l’affidò a degli artigiani giapponesi che decisero di riempire le crepe con resina laccata e polvere d’oro.
Non a caso la parola kintsugi recentemente viene associata alla filosofia di guarigione e resilienza, una sorta di similitudine per imparare ad essere fieri delle nostre cicatrici, sia fisiche e morali, una prova tangibile della nostra resilienza e della capacità di rialzarsi anche dalle cadute più brutte.
Ho imparato tardi a prendermi cura delle mie tante cicatrici sia psicologiche, legate ai miei trascorsi d’infanzia e giovinezza e quelle fisiche, l’ultima delle quali, la più importante, che mi ha insegnato quanto sia labile la vita, che può cambiare da un momento all’altro e sta solo a me la scelta di come affrontare i cambiamenti, se con positività e serenità oppure con ostilità o vittimismo.
Curo ogni giorno con amore la mia cicatrice più grande, come se fosse un dono e con gratitudine nei confronti di chi si è preso cura di me, riportando la luce nella mia vita, colmandomi di fiducia. Questa cicatrice sarà sempre lì a trasmettermi ottimismo e gioia di vivere sebbene sia la testimonianza tangibile dell’evento più negativo della mia vita.
Le cicatrici che mi trascinavo dall’infanzia e adolescenza si sono assottigliate, rendendomi più forte e consapevole che tutto muta nella vita, anche i sentimenti. Improvvisamente percepisco tanto amore attorno a me che fa sì che il mio trascorso sia solo un ricordo, messo lì in angolo come un inutile soprammobile che non può farmi male.
Esperienze che segnano ma fortificano. Non a caso ho scelto l’immagine di questo Geranium pyrenaicum, sbocciato rigoglioso tra le fughe di una pavimentazione con la stessa forza che mi hanno donato tutte le mie cicatrici, insegnandomi a vedere solo il lato positivo di questa meravigliosa vita!
Emanuela TrevisanEmanuela Trevisan


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