In questi giorni non mi sento bene, nulla a che vedere con la mia malattia. Il mio cuore sta piangendo, lacrime di dolore per i tanti, troppi agnelli che vengono uccisi per la Pasqua.
Ancora oggi, nel XXI secolo, per me è incomprensibile questa assurda mattanza in nome di una tradizione millenaria che ha origine nelle parole di Dio, che in occasione della Pasqua ebraica disse a Mosè e Aronne: “Ciascuno si procuri un agnello per famiglia, un agnello per casa. In quella notte ne mangeranno la carne arrostita al fuoco; la mangeranno con azzimi e con erbe amare. Non lo mangerete crudo, né bollito nell’acqua, ma solo arrostito al fuoco con la testa, le gambe e le viscere” (Esodo, 12, 1-9) eleggendo l’agnello a simbolo di sacrificio per la religione cristiana, come più volte compare nell’Antico Testamento.
In questo modo il credente donava a Dio ciò che aveva di puro e prezioso, un agnello, simbolo di candore e della fragilità della vita, un sacrificio non dissimile dalla terribile prova che Dio fece ad Abramo, ordinandogli di sacrificare Isacco (Genesi, 22, 1-18).
Ricordo ancora la sensazione che provai quando negli anni di collegio mi fecero studiare approfonditamente l’Antico Testamento e soprattutto gli incubi notturni generati dai passaggi sopra citati.
Premetto che in vita mia non ho mai mangiato agnello o capretto, dall’adolescenza anche carne di altri “cuccioli”, fino a diventare vegetariana, stile di vita che ultimamente ho dovuto modificare parzialmente a seguito della mia malattia.
Non è detto che bisogna essere atei, agnostici o professare un’altro credo per infrangere questa assurda tradizione pasquale, si tratta di avere un cuore e di essere coerenti: non basta mettere un like o un cuore quando si vedono foto di agnellini nei social poi quando lo si ritrova cotto nel piatto, fare finta di non sapere cosa sia.
Ogni agnello ha il diritto di crescere, diventare adulto e un fornitore naturale di quella lana che ci protegge dal freddo, soprattutto di pascolare serenamente accanto alla sua mamma.
È più importante impedire a un animale di soffrire, piuttosto che restare seduti a contemplare i mali dell’Universo pregando in compagnia dei sacerdoti (Buddha)
Emanuela Trevisan Ghiringhelli


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