Ci svegliamo prestissimo, esco sul balcone e mi ritrovo sotto un cielo ancora stellato. Saluto questo quindicesimo giorno di gennaio con il mio primo mantra mattutino di questo 2024: Buongiorno vita!
Usciamo di casa mentre iniziano ad intravedersi verso est i primi bagliori dell’alba che diventano sempre più luce e ora che arriviamo a Varese, ormai si è fatto giorno.
Il cielo è azzurro terso, l’aria fredda e pungente ed io mi sento tremendamente felice!
Oggi non farò acquisti per gratificarmi, tanto meno usciremo a pranzo o cena, sarà un giorno come un altro e come sempre sono felice di quanto mi dona quotidianamente il mio piccolo mondo.
E pensare che per il solito consumismo sfrenato e globalizzato oggi sarebbe il giorno più triste dell’anno. Il Blue Monday (per gli anglosassoni il colore blu è associato alla tristezza) è nato nel 2005 da un’idea, più che da uno studio, dello psicologo inglese Cliff Arnall che individuò il terzo lunedì di gennaio come il giorno più deprimente per le popolazioni dell’emisfero boreale, utilizzando un’equazione ritenuta poi priva di fondamento. Il suo fanta-calcolo teneva conto delle condizioni meteo tipiche dell’inverno, la fine delle vacanze di Natale, la consapevolezza di non aver messo in atto i buoni propositi per il nuovo anno, la poca motivazione ed altre considerazioni di minore importanza.
Alla fine questa tesi pseudo-scientifica, che si è rivelata una bufala, si è completamente sgonfiata, senza prima aver fatto centro in termini di business, al punto da sembrare creata ad hoc per promuovere vendite promozionali e un’ottima trovata pubblicitaria soprattutto per le compagnie ed agenzie di viaggio inglesi per promuovere vacanze nella seconda metà di gennaio, nonché per molte attività commerciali che, cavalcando l’onda, per spronano i consumatori a farsi un regalo per risollevare l’umore.
Forse sarà perché ormai da oltre quattro anni sono in pensione e per me ogni giorno è uguale all’altro, ma non ho bisogno di nulla per sentirmi più felice e se proprio devo dirla tutta, quando lavoravo il giorno più triste era quello del rientro delle ferie estive, con la prospettiva delle giornate che si accorciavano, il freddo e un anno davanti prima di un altro lungo periodo di riposo.
Per me i giorni che portano tristezza sono ben altri, solo quelli che ricordano la perdita di una persona cara, un dolore che certamente non si affievolisce mai, ma che si intensifica nelle tristi ricorrenze perché si rivivono inevitabilmente come in un film i momenti di dolore. E purtroppo più passano gli anni, più se ne aggiungono alla liste di queste giornate tristi.
Non sono il tipo che mi rallegro o gratifico con un acquisto, tutt’altro. La bramosia di ottenere sempre quanto si desidera, porta a volere sempre di più e offusca il modo di vedere la realtà, che la felicità la si raggiunge apprezzando ciò che si ha.
Nella testata di questo articolo ho preso in prestito il titolo di un bellissimo libro di Stefano Bettera, Felice come un Buddha, che consiglio caldamente a chi oggi vuole farsi un regalo per tirarsi su il morale. É una sorta di ricettario per cucinarsi la propria felicità con otto ingredienti: l’impermanenza, l’unità, l’ascolto profondo, la cura, la generosità, l’impegno gentile, l’essere sempre presente e l’attenzione. Molto piacevole e ben scritto, vi garantisco che lo si legge volentieri e tutto d’un fiato, facendo tesoro dei preziosi suggerimenti per imparare a miscelare bene questi otto importanti componenti nella propria quotidianità.
E ammirando il panorama della foto di copertina, come potrei non essere felice!
Emanuela Trevisan Ghiringhelli


Ciaooo! bella, come al solito, la tua foto, cui rispondo con una dal mio fedele iPhone, (te la mando per WhatsApp) che ha sostituito ormai da anni la mia gloriosa Pentax. A presto, Augusto
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Grazie!
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