Ieri, per la prima volta nella mia vita, ho celebrato il Giorno del Ricordo partecipando a un evento commemorativo, che si è tenuto a Daverio presso la Sala Polivalente e che in fondo sento un pò mio per aver invitato personalmente uno dei relatori, lo scrittore e amico Massimiliano Comparin.
É a lui che devo il merito di aver colmato la grande lacuna di conoscenza della storia di Norma Cossetto e degli esuli istriani grazie al suo romanzo I Cento Veli che ho letto poco più di un paio di anni fa. Mi ero sentita molto amareggiata constatando la mia ignoranza sulla tragedia delle foibe, facendomene quasi una colpa. Massimiliano per la stesura del libro si era avvalso della preziosa testimonianza di Licia Cossetto, sorella di Norma, diventandone alla fine grande amico fino al giorno della sua scomparsa per un attacco cardiaco il 5 ottobre 2013, nel giorno del settantesimo anniversario della morte della giovane istriana e mentre si stava recando a Trieste per tale commemorazione. Una coincidenza che potrebbe sembrare uno strano gioco del destino, oppure un segno del legame così forte e indissolubile con la sorella da doverne condividerne anche la data della morte, pur a distanza di settant’anni.
Oltre a Massimiliano, i relatori dell’evento Per non dimenticare il sacrificio di Norma Cossetto, Mariella Meucci presidente dell’Associazione Culturale “Il Circolo Tricolore “ di Varese e Paolo Bellini, professore ordinario di Filosofia Politica presso l’Università degli Studi dell’Insubria di Varese, hanno parlato di questa tragedia con il cuore e una narrazione emotiva che ha toccato le corde giuste di tutti noi seduti tra il pubblico.
Con grande emozione Mariella Meucci ha ricordato la storia di Norma Cossetto, uccisa all’età di ventitré anni, che con il suo sacrificio è diventata simbolo delle migliaia di donne che come lei sono state violentate, seviziate e gettate vive nelle foibe dai partigiani del maresciallo Tito.
L’intervento del Prof. Bellini è stata per me una vera lectio magistralis concentrata in un brevissimo lasso di tempo, ma che ha saputo disegnare un quadro ben dettagliato degli avvenimenti, corredati da significative esperienze personali vissute sin dall’infanzia in Sicilia e in seguito a Trieste, quando ha conosciuto discendenti di esuli istriani che lo hanno reso partecipe della storia delle loro famiglie ai tempi dell’esodo giuliano dalmata.
Uno dei leitmotiv dell’incontro, sottolineato anche nell’intervento dell’Assessore alla Cultura della Regione Lombardia, Francesca Caruso, è stato il muro di omertà e negazionismo che per troppi anni è stato alzato su questa tragedia, costata la vita a ventimila vittime italiane.

La mia commemorazione della Giornata del Ricordo non è terminata qui, ieri sera ho voluto guardare il film Red Land Rosso Istria su Rai Play, una storia che narra la storia dal 25 luglio 1943, quando a seguito dell’arresto di Benito Mussolini, il 3 settembre venne firmato l’armistizio di Cassibile, gettando nel caos più totale sia il Regio Esercito, che non sapeva più chi fosse il nemico e chi l’alleato e i civili Istriani, Fiumani, Giuliani e Dalmati che si trovarono a dover affrontare l’avanzata nelle loro terre dei partigiani jugoslavi, guidati da Josip Broz Tito, facendo una sorta di pulizia etnica, arrestando tutti gli italiani.
Particolare risalto hanno le vicende che toccano questo ultimo breve periodo di vita di Norma Cossetto, laureanda all’Università di Padova che voleva dedicare la sua tesi alla terra rossa dell’Istria e che le sue uniche colpe furono di essere figlia di un esponente fascista locale e di essersi fermamente rifiutata di collaborare con i titini. Nella notte tra il 4 e 5 ottobre tutti i prigionieri itialiani, tra i quali Norma dopo essere stata ripetutamente violentata dai suoi aguzzini, vennero condotti a forza sui sentieri montani fino a Villa Surani, vennero gettati in una foiba legati a due a due; al primo prigioniero sparavano e cadendo nella profonda caverna trascinava il secondo, vivo e lucido.
Norma Cossetto fu l’ultima tra le vittime a cadere viva nella foiba.
Un film da guardare per non dimenticare, una tristissima pagina della storia italiana che deve essere ricordata anche nelle scuole.
Emanuela Trevisan Ghiringhelli


Cara Manuela,
condivido tutte le emozioni che racconti e testimoni, e condivido l’apprezzamento per il libro che conosco da tempo, “i cento veli” , molto ben scritto.
Pero’ una cosa non la condivido!!
Ed e’ che il “giorno del ricordo delle foibe” non dovrebbe essere per quel che e’ fatto e visto oggiddi’ dalla politica e dalla politiKa. Condivido anche tutte le parole piene di umanita’ del nostro presidente, certamente.
Non che io non voglia condividere la tristezza per quello che e’ accaduto, per la disumanita’ delle foibe e degli infoibamenti, per il martirio di tanta povera gente che non aveva in fondo colpe se non di essere discendente da italiani ed italiani loro stessi, e per i carnefici , loro stessi in fondo poveri diavoli frastornati e disumanizzati da un fanatismo ben alimentato dall’alto!
NO! quello che io voglio ricordare,oltre alla pieta’ della vicenda umana, e’ la PROFONDA DISUMANITA’ della politiKa rossa e di ogni colore dello spettro, ognuno secondo sue convenienze, che tratto’ quei profughi come li tratto’, li dipinse come traditori, la dirigenza di un partito e solerti funzionari che mandarono operai ad insultarli alla stazione di Bologna, e tutti coloro che li seguirono in questa infamia disumana verso poveri cristi spogliati di tutto.
Coloro che condivisero il silenzio “non parlarne: ordine di scuderia) sulla stampa e sui media per tanti troppi anni, in nome della pollitiKa.
Io conobbi delle foibe in primis dalle “lettere al corriere” et similia, scritte periodacamente dai profighi istriani e dal loro presidente, che ogni anno scriveva puntando il dito inutilmente sul vergognoso silenzio che circondava quell’evento! Come altri simili, del resto.
Un piccolo inciso: anni dopo successe, per fortuna non a livelli cosi’ gravi e solo per motivi “politiKo-aziendali di opportunita’ “, la stessa cosa verso profughi italo-libici, i profughi di Gheddafi.
Ma tant’e’, i profughi son sempre profughi, cioe’ poveri cristi da usarsi a seconda delle convenienze, ma MAI nel loro interesse; vedi anche i palestinesi usati in primis da popoli loro fratelli, o i curdi, o gli uiguri, o i tibetani, ecc ecc . Poveri esseri umani adoperati al limite anche della carne da macello da altri esseri umani, apparentemente loro simili, ma che li adoperano tirandoli qua e la’ a seconda della loro convenienza dei loro profitti e della loro politica. Come i veneti e i “terroni” nell’ Italia anni 40-50. Sono poveri, e se si studia la storia si scopre che i poveri non hanno sangue, non hanno niente e non contano niente, forse anche meno. Qualcuno dei poveri puo’ aspirare a diventar martire, ma certamente non nel loro stesso interesse, ci mancherebbe; i martiri son utili solo ad altri, vengon fatti per quello.
Comunque Manu, ricordiamo tutto quel che vogliamo, tanto la “massa” da questi ricordi non trarra’ la dovuta lezione e non cambiera’ certo comportamento, ci mancherebbe. O dovrei dire “quando mai!”. La “massa” non sa migliorare: e’ troppo occupata a farsi frastornare (e gestire) dalle sirene della pubblicita’, dello sport, dei partiti beceri, degli apparenti fatti propri, da uno pseudo successo personale sui social, et similia.
Contezza di se’? Discernimento? Consapevolezza? Ma si sa ancora queste cose cosa siano?
Pero’ si, si sa ancora, a livello profondo, cosa siano amore ed umanita’, ogni tanto emergono; come per caso, ma no, non e’ un caso.
E sono il seme della speranza, speranza che un giorno la gente si svegli e riscopra di esser appartenente al genere umano, animali si’, ma dotati di umanita’ e non solo di libero arbitrio.
E con questa speranza che voglio sia augurio ti saluto, Manuela, ti abbraccio.
Augusto, classe gennaio 1943
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