Quel Vicolo dei Lavandai che parla al cuore con i suoi silenzi.


C’è una piccola striscia di terra nel cuore di Milano dove il tempo pare si sia fermato e dal sapore di una volta, si trova al civico 14 dell’Alzaia Naviglio Grande.
Una volta nel XVIII secolo, si chiamava Vicol de Bugandee, che deriva da bugada, il bucato in dialetto milanese, era il luogo dove gli uomini che lavoravano per la Confraternita Lavandai di Milano si recavano per lavare la biancheria sporca delle famiglie abbienti. Portata a spalla nelle gerle, i lavandai, che in seguito hanno dato nome al vicolo, avevano anche un santo patrono, Sant’Antonio da Padova, che potevano pregare all’altare a lui dedicato nella vicina chiesa di Santa Maria delle Grazie al Naviglio, poco distante dal lavatoio.
Questa sorta di servizio di lavanderia, era un duro lavoro svolto in ginocchio sui brellin posti in fila sotto la tettoia e che un paio di secoli più tardi veniva svolto dalle donne. I panni venivano lavati con il palton, un impasto di cenere, soda e sapone, oppure da lisciva e letame, quindi venivano sciacquati nel ruscello, el fosset, alimentato dalle stesse acque del Naviglio Grande.

Il Vicolo dei Lavandai è sempre stato l’angolo di Milano che amo di più e anche scattando queste poche foto ho voluto cogliere solo il suo spirito antico che mi suscita sempre forti emozioni, le stesse emozioni che hanno toccato anche le corde dell’anima di letterati.
Il poeta meneghino Luigi Cazzetta, classe 1907 e che fu anche Presidente onorario dell’Accademia del dialetto milanese, vinse nel 1964 il premio Carlo Porta con una poesia dedicata a questo luogo magico:

VICOL DI LAVANDEE
Anmò impastaa de fumm e de miseria.
Ròba normal, jer.
Gh’hinn pù e sù i ringher
resta domà ‘l silenzi.

VICOLO DEI LAVANDAI
Ancora impastato di fumo e di miseria.
Roba normale, ieri.
Non ci sono più e sulle ringhiere
rimane soltanto il silenzio.

E non poteva mancare Lei, Alda Merini che ha vissuto gli ultimi anni della sua vita in Ripa di Porta Ticinese 47 a pochi passi dal Vicolo dei Lavandai. La sua casa di sempre dove sono nate le sue figlie e dopo tanti andirivieni fatti di parantesi dolorose, era tornata nel 1986 dopo aver lasciato Taranto, dove si era sposata in seconde nozze con Michele Pierri. In occasione del 10° anniversario della sua morte, il ponte in cemento di fronte alla sua casa è stato intitolato alla Poetessa dei Navigli, che ha dedicato una sua poesia anche alle donne inginocchiate sui brellin:

LAVANDAIE
Lavandaie avvizzite
sul corpo del Naviglio
con un cilicio stretto
stretto intorno alla vita,
lavandaie violente
come le vostre carni,
donne di grande fede
sopravvissute al lutto
della bomba di Hiroshima…
Lavandaie corrotte
dall’odore del vino,
ossequiose e prudenti
fortissime nell’amore
che sbattete indumenti
come sbattete il cuore.

Emanuela Trevisan Ghiringhelli

4 risposte a "Quel Vicolo dei Lavandai che parla al cuore con i suoi silenzi."

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  1. Ti ringrazio Manu per questa immagine che scrivi e mi mostri.
    Mi e’ molto cara, anche se solo per analogia con altri posti della mia
    infanzia.
    La poesia del Cazzetta mi ha dato una stretta al cuore.
    Perche’ esprime la normalita’ ( : tutto passa ) ma anche la
    ineluttabilita’ nostra ( : /Gh’hinn pù ) /e quindi mi prende il solito
    timore molto umano, la domanda che sempre inquieta il nostro cuore di
    fronte alla nostra fatale nullita’: che ne sara’ di noi, dell’amore, dei
    sentimenti piu’ cari ?
    Ancor di piu’ , visto che ormai arrivato a 80 la quasi totalita’ del mio
    tempo la ho alle spalle.
    Non so che ne sara’, ma certo lentamente tutto questo sparira’, restera’
    vivo per qualche anno nella memoria e nel cuore di mia figlia, di mio
    nipote; poi , col susseguirsi delle generazioni, si annullera’ e piu’
    nulla di me esistera’ in qualche cuore.
    Fortunati coloro che scrivono: le loro rime e prose permetteranno loro
    ogni tanto di rivivere nel cuore e nei sentimenti dei loro lettori.
    Molto piu’ che delle foto sbiadite che nel tempo perdon di senso per gli
    occhi che le vedono, spesso senza leggerle.
    Ciao, grazie ancora. Un abbraccio, Augusto

    //

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  2. Sono romano ma amo Milano, la preferisco a Roma. Conosco bene Milano e questo luogo, andavo spesso a cena lì vicino. Mi piaceva salire sul primo tram e girare per la città senza una meta precisa. La Milano che mi piaceva di più era quella della fine anni’90, un po’ decadente ma proiettata nel futuro, con quello strano arancione della linea A della metropolitana. Mi manca la mia Milano, in cui sono stato bene e che mi ha regalato tante opportunità.

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