Il nostro angelo custode con la coda nel paradiso delle crocchette


“Mamma, ma i gatti dove vanno quando muoiono?” – di Gianni Rodari

I gatti quando muoiono vanno nel paradiso delle crocchette che è un posto scoppiettante. Hai presente quelle macchine che al cinema fanno i pop corn?
Si, quelli che si mangiano e sembrano nuvole?
Esatto, proprio quelli. I gatti vanno in un posto in cima alle nuvole dove scoppiettano crocchette puzzolenti che però a loro sembrano profumatissime e gli fanno venire l’acquolina in bocca. Dalle nuvole escono le loro crocchette preferite e loro saltellano tutti insieme. E poi questo paradiso è pieno di gomitoli di lana che ai gatti piacciono molto, così ci giocano un sacco e fanno le fusa. Il paradiso delle crocchette è un posto pieno di fusa. Loro pensano ai loro amici umani e fanno tante, tante fusa d’amore. Si, e poi un giorno prendono una nuvola con le zampette e la aprono come fosse una valigia. Le nuvole sono le valigie, nel paradiso dei gatti. Ci mettono dentro dei pezzettini di cielo che hanno ritagliato con-le-forbici-dei-piccoli-per-fare-i-collage e di notte partono.
E dove vanno la notte?
Di notte loro vanno a trovare i loro amici umani. Scendono le nuvole scala e si infilano dalla finestra, mentre i bambini e gli altri umani che li hanno amati dormono. Prima, se hanno degli amici animali, come per esempio le tartarughe che a me stanno molto simpatiche, vanno a salutare gli amici animali perché parlano la stessa lingua e poi si infilano in casa. Vanno a dormire in mezzo ai loro amici umani, oppure fanno delle piccole birichinate così quando loro si svegliano, si accorgono che è passato il gatto che adesso vive nel paradiso delle crocchette. Si, e secondo me dormono a siluro tra le gambe dei loro amici umani. Si, passano lì con la loro valigia e lasciano sparsi per casa dei pezzettini di cielo. In cambio sai cosa prendono?
No, non lo so. Cosa prendono?
Prendono l’amore e i bei ricordi insieme ai loro amici umani, li mettono nella valigia nuvola e se li portano nel paradiso delle crocchette.
E perché?
Perché così quando vanno nella “fuseria” che è il posto delle nuvole dove fanno le fusa, tirano fuori i ricordi di amore dei loro umani e possono fare le fusa pensando a loro. E noi possiamo pensare ai nostri amici animali che hanno lasciato pezzettini di cielo nelle nostre vite umane.

Voglio pensare che come in questa favola tutte le notti Birillo, il nostro primo micio, scenda dal paradiso delle crocchette e venga a dormire con noi. Forse è proprio con lui che Kimi comunica a notte fonda con i suoi strani e brevi miagolii, oppure rincorre Oliver nel suo mondo onirico, quando nel sonno sgambetta velocemente.
Birillo era un trovatello, entrato nella nostra vita una piovosa sera di ottobre del 1990. Fulvio stava chiudendo le persiane quando ha percepito un debole miagolio provenire dal cortile sottostante e subito siamo scesi entrambi alla disperata ricerca di quello che in seguito si è rivelato un piccolo gattino di pochi giorni in evidente difficoltà. Un abbandono sconsiderato della povera bestiola, nascondendolo dietro a un vaso di fiori su un davanzale a pianterreno per mano di una persona che non considero umana. Abbiamo impiegato più di un’ora a trovare quel gattino bianco e nero, ormai stremato, così piccino che stava nel palmo dalla mano. Non avevamo esperienze precedenti con questi simpatici felini, così Fulvio aveva telefonato a un amico veterinario per sapere come comportarci. Purtroppo la risposta non era stata confortante, in quanto sarebbe stato difficile svezzare un micetto così piccolo senza il latte materno, quindi ci è stato consigliato di alimentarlo solamente con omogeneizzati “primi mesi”, somministrandogli a piccole dosi e molto frequentemente. Da ultimo l’ultimo triste suggerimento, quello di non illuderci in quanto sarebbe stata un’impresa molto ardua quella di salvarlo.
Lo avevamo adagiato in una scatola delle scarpe con un letto di stracci di lana sul fondo e la mattina seguente abbiamo iniziato ad alimentarlo, strofinandogli la boccuccia il dito sporco di pappa. Il piccolo mangiava e sembrava riprendersi a poco a poco, la sua cuccia era nella stanza da bagno, l’unico locale con meno insidie durante la nostra assenza per lavoro. Dopo qualche giorno avvertivamo la sensazione che il piccolo ce l’avrebbe fatta, così abbiamo deciso di adottarlo e dargli un nome: Birillo. Il nostro micio, forse anche grazie al nostro amore, superato il periodo più critico, era diventato un gran bel gattone affettuoso ed è stato il nostro bambino peloso per 12 anni, il fulcro delle nostre attenzioni che ripagava con le fusa. Finché è arrivato quel maledetto giorno di settembre 2002, quando Birillo avevaifiutato la pappa mattutina e anche l’erba gatta del quale era goloso. Lo abbiamo portato immediatamente dal veterinario, una lastra poi un’ecografia, infine l’infausta diagnosi di un tumore allo stato avanzato non curabile. Continuava a rifiutare il cibo e il veterinario ci ha messo di fronte a una difficile scelta: o somministrargli del cortisone per prolungare la sua esistenza, pur non priva di dolori, oppure l’eutanasia per non farlo soffrire. Questa è stata la decisione più difficile e dolorosa della nostra vita, che per il suo bene era la seconda opzione. Penso di non aver mai pianto così tanto nella mia vita e così anche per Fulvio. Birillo aveva riempito le nostre vite per 12 anni, colmando quel vuoto creato dalla mancanza di figli, anche se potrebbe sembrare un paradosso paragonare l’amore per un figlio e quello per un gatto. Il grande dolore per la sua perdita ha fatto sì che passassero ben 10 anni prima di ritrovare la forza di adottare un’altro micio, Kimi e tre anni dopo anche Oliver.
Grazie Birillo per tutte le gioie che ci hai donato nella tua breve ma intensa vita. Fulvio ed io siamo certi che dal ponte dell’arcobaleno continui a farci sentire la tua presenza, una sorta di angelo custode con la coda.

Emanuela Trevisan Ghiringhelli

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