Una mattinata diversa dal solito quella di oggi. Esco di casa a piedi quando l’aria è ancora frizzante e comunque piacevole da sentire sul volto. Non sono sola, ho con me l’immancabile compagna, la Nikon. Percorro un sentiero sterrato tra le recinzioni di alcune abitazioni, una sorta di scorciatoia per arrivare a Villa Bossi-Tettoni-Benizzi-Castellani, risalente al 1495 e dove ha sede il comune. Scatto qualche foto, anche gli antichi, grandi vasi di fiori posti in prossimità dell’ingresso attirano la mia attenzione.




Percorro la via Volta, non resisto alla bellezza dei vecchi portoni con i soffitti a trave che si affacciano su piccoli cortili. In uno di questi s’intravede perfino una vasca in pietra per lavare i panni. E che dire della bellezza di un balconcino in ferro battuto che incornicia na persiana come una corona.





Fotografo anche la casa che ogni estate ha i balconi fioriti più belli del paese, abbelliti oggi da qualche vaso di primule gialle. Da questa zona si vede anche il lago di Varese, affascinante anche se scorto attraverso le inferiate di un cancello arruginìto di una vecchia casa fatiscente. Poco più in là si apre il panorama sul Belvedere, il lago e il massiccio del Campo dei Fiori con le vette imbiancate… spettacolo!




Termino le commissioni e mi avvio verso casa allungando il giro, è una bella giornata e si sta bene all’aperto. Passo davanti alla Pasticceria Marcolli e mi viene in mente di aver promesso a Fulvio che alla prima occasione gli avrei preso due chiacchiere di Carnevale, magari ci sono già, ma Silvio, il pasticcere, mi anticipa dicendomi di aver ricevuto una telefonata da “un signore” che gli avrebbe detto di farmi acquistare un cuore di sfoglia… “Oggi è la Giubiana e i mariti regalano un cuore alle loro mogli.”
Mi giunge nuova, sapevo della festa della Giöbia verso la fine gennaio, ma di questa usanza non ne ero a conoscenza, quindi nel pomeriggio ho fatto le ricerche del caso ed ho trovato leggende parallele, ma che riconducono alla fine alla stessa tradizione.
La Giubiana, Giöbia nel varesotto, ha radici antichissime e si festeggia l’ultimo giovedì di gennaio: Pare che il nome derivi proprio dal giorno dedicato a Giove, ma potrebbe anche condurre al culto della dea Giunone e ai riti propiziatori per i raccolti risalenti ai Celti.
La leggenda recita che fosse una una strega molto cattiva, magrissima, con le calze rosse e che in questo periodo di gennaio mangiasse tutti i bambini che incontrava. Pare che una mamma, per salvare la propria bambina rapita dalla strega, avesse attirato l’attenzione della strega preparando un grande pentolone di risotto con la salsiccia, che la ingolosì tanto da farle trascorrere tutta notte mangiando avidamente e senza accorgersi del sorgere del sole, a lei fatale.
In alcuni paesi del varesotto, tra i quali Morosolo, Barasso e Casciago, la sera della Giöbia coincideva con la “puscena di donn” (dopo cena delle donne), usanza nella quale le donne di paese si riunivano senza uomini, per mangiare in compagnia e divertirsi. La puscena era diventata una sorta di festa delle donne e per l’occasione i gli uomini regalavano alle mogli “ul cor da bum bum” un dolce a forma di cuore in segno di ringraziamento per il loro lavoro svolto nei campi e in casa.
In alcuni paesi del varesotto e in tempi
In molti paesi del varesotto si è mantenuta l’usanza di bruciare la Giöbia, un fantoccio di stracci con le fattezze di una strega, accendendo falò, mangiando risotto con la lüganega nella sera dell’ultimo giovedì del mese.
Emanuela Trevisan Ghiringhelli
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