Quel giorno, il 21 novembre 1941, era destinato a passare alla storia per una delle più cruenti battaglie in terra d’Africa al valico di Culqualber, ultima difesa di Gondar in Etiopia, dove quasi tutti i militari del Primo Battaglione Carabinieri morirono sopraffatti dalla schiacciante superiorità numerica dagli inglesi.
Era un venerdì, la liturgia cattolica celebrava la Presentazione della Beata Vergine Maria e mia nonna Antonietta, cristiana molto devota, aveva appena terminato di recitare il Santo Rosario prima di aprire la sua piccola bottega di sartoria in via Monte Grappa al civico 16 di Milano, poco distante da piazza Tommaso di Savoia, dove sorgeva il cinema teatro Smeraldo, frequentato da quelle signore della borghesia milanese che si facevano confezionare da lei gli abiti.
Da quando era scoppiato il conflitto bellico non poteva più fare la pendolare dalla sua casa di Parabiago prendendo il tram a San Lorenzo e nemmeno pensare di chiudere temporaneamente il suo negozio nella città meneghina. L ‘attività di barbiere di mio nonno, nel centro del piccolo paese, non era più sufficiente per mantenere la famiglia di tre figli in tempo di guerra.
Nonna Antonietta aveva quindi deciso di stabilirsi momentaneamente a Milano, mettendo una branda nel retro bottega e allestendo una minuscola cucina, una sistemazione che non andava a gravare sulla già esile liquidità familiare, ma la lontananza dai suoi cari le costava un prezzo molto caro. Nanda, la primogenita trentacinquenne, si occupava della casa e di accudire l’ultima delle figlie, la dodicenne Fulvia, mentre Alfredo, ventottenne, che aveva sempre lavorato nel negozio di barbiere di papà Armando, da poco era stato assunto alla Zeus di Rapizzi, dove sperava di poter realizzare il suo sogno nel cassetto, guadagnando a sufficienza per poter aprire un negozio di parrucchiere a Milano, una volta terminata la guerra.
La vita aveva già presentato a mia nonna un conto molto salato, privandola nel 1927 della secondogenita, Romola, morta a soli 17 anni a seguito di un gesto estremo, nel modo più assurdo ed inaccettabile per una madre. Un dolore straziante, che nemmeno l’adozione due anni dopo della neonata Fulvia aveva potuto lenire. Aveva così deciso di buttarsi a capofitto nel lavoro di sarta e crestaia, aprendo un piccolo negozio e laboratorio nel capoluogo lombardo, dove creava e cuciva i modelli esclusivi di alta sartoria per le sue clienti, corredando ogni abito di cappello e pochette in tessuto coordinati, facendosi apprezzare dalle signore della Milano bene degli anni ’30.
Quel penultimo venerdì di novembre 1941, prima di indossare i suoi orecchini e aprire il negozio, scrisse una cartolina alla piccola Fulvia, esprimendo in poche righe tutto l’amore che provava per lei.
Sono trascorsi ottantun anni da quel giorno e per me è una grande emozione avere tra le mani quella cartolina, custodire quel rosario che fu suo ed indossare i suoi orecchini, gli unici ricordi materiali che mi sono rimasti di nonna Antonietta. Forse mi sono messa in mente una strana congettura che potrà sembrare assurda, pensando che la nonna si sia presa con sé la mia mamma, ormai novantaduenne, proprio nel giorno di Sant’Antonio di quest’anno, strappandola alle sofferenze dei suoi ultimi giorni terreni, dimostrando ancora una volta il suo grande amore materno.
Dal 1949 ogni 21 novembre l’Arma dei Carabinieri festeggia la Virgo Fidelis, appellativo cattolico di Maria la loro celeste patrona, commemorando quest’anno anche la ricorrenza del 80° Anniversario della tragica Battaglia di Culqualber. “Fedele nei secoli”.
Emanuela Trevisan Ghiringhelli
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