Quanto è vero questo proverbio. Non c’è nulla di meglio che iniziare la giornata con un dolce caco a colazione, una gioia per il palato e dal colore che dona una carica di positività.
Questo frutto, originario della Cina e arrivato in Italia verso la fine del XIX secolo, è uno dei 24 longevity food della dieta Smrtfood-IEO, ricco di fibre che hanno la prerogativa di frenare l’assorbimento di glucosio ed è una buona fonte di vitamina C e A, quest’ultima che svolge un ruolo protettivo per la vista, le ossa, la pelle e il sistema immunitario. Tra i principali fitocomposti che impreziosiscono questo frutto, spiccano la fisetina e le catechine, due composti fenolici al vaglio dei ricercatori. Entrambe sembrano svolgere, in studi di laboratorio, azioni protettive per il sistema cardiocircolatorio e nei confronti di alcuni tumori (fonte Smartfood-IEO).
Il suo nome botanico è Diospyros kaki che in greco significa “cibo degli dei” e secondo un’antica tradizione era detto l’albero delle sette virtù: per la sua vita che può raggiungere i 50 anni, per l’estensione dell’ombra che produce, per l’inattaccabilità da parte dei tarli, dall’assenza di nidi fra i rami, per le sue foglie esistenti al ghiaccio, per l’ottimo fuoco prodotto dal suo legno e per le quantità di sostanze concimanti che fornisce al terreno.
Un piccolo albero di cachi riuscì a sopravvivere miracolosamente al bombardamento atomico del 9 agosto 1945 di Nagasaki. Nel 1994, Masayuki Ebinuma, fitopatologo giapponese, ha curato quell’alberello riuscendo a far germogliare alcune piante di seconda generazione che ha iniziato a distribuire ai bambini che si recavano in visita a Nagasaki, come simbolo di pace. Attualmente quelle piantine sono circa 250 ormai sparse in 23 nazioni diverse, che fanno parte del progetto Kaki Tree Project – La rinascita del tempo e l’Italia è stato il secondo paese, dopo il Giappone, con il maggior numero di piantumazioni.
Il caco è anche protagonista di un’antica leggenda contadina per prevedere che tipo d’inverno avrebbe seguito la stagione autunnale, dividendo il suo seme a metà verticalmente e verificando la sagoma del germoglio. Se aveva la forma del cucchiaio, sarebbe stato un inverno nevoso, la sagoma della forchetta era foriera di un clima mite e quella del coltello prevedeva tanto freddo e scarse precipitazioni.
Spero nelle prossime mattine di trovare un seme e scoprire quale tipo di posata cela al suo interno poi saranno i prossimi mesi a confermare o meno veridicità di questa leggenda, anche se priva di ogni fondamento scientifico.
Emanuela Trevisan Ghiringhelli
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