Ode alla matita


Ma quanto è bello scrivere con la matita!  Quella classica, di legno, con il suo inconfondibile profumo che evoca ricordi da quando zia Nanda mi insegnò a scrivere quando avevo solo quattro anni, per poi diventare più tardi il mio primo strumento di scrittura a scuola.
Con quel suo tratto grigio elegante ho riempito pagine e pagine di quaderni ,dapprima con le aste poi con le lettere in corsivo dell’alfabeto, prima minuscole, quindi maiuscole, un esercizio che ha forgiato la mia calligrafia, diventando nel tempo un tratto tangibile della mia personalità.
Nei trentotto anni di attività lavorativa è sempre stata la mia prediletta per prendere appunti e non solo perché potevo cancellare in caso di errori, evitando quindi quelle antiestetiche righe sopra le parole, ma soprattutto per la sua delicatezza.
Ogni matita non mi ha mai accompagnato per molto tempo, la sua vita è stata breve anche se l’ho sempre trattata con molta cura, facendo attenzione che non cadesse per evitare che si rompesse la sua anima, quella fragile mina di grafite e temperandola con molta cura, piccole attenzioni che hanno fatto sì che i nostri momenti di amicizia siano stati un pò più lunghi.
Eh sì, è un’amica alla quale spesso ho affidato dei pensieri estemporanei e gli scarabocchi mentre ero al telefono. Sensibile come me, ha sempre assecondato il mio umore con tratti sottili o più incisivi.
Quando faccio scivolare la punta di lapis sul foglio, ho la sensazione di scaricare tutte le tensioni, mi abbandono al piacere di scrivere in corsivo, oppure di abbozzare un disegno, una greca o un piccolo fiore, che poi sfumo nelle varie tonalità di grigio.
Ho sempre usato un temperamatite con il raccogli trucioli che svuoto ogni volta che inizio ad usare una matita nuova. Quando ormai è ridotta a poco più di un mozzicone, non la butto via, la tengo da parte, utilizzandola per sottolineare le frasi dei libri che più apprezzo. E’ un modo di portarle rispetto ed esserle riconoscente per quello che mi ha dato nella sua corta vita, la custodisco ed ogni tanto la faccio sentire ancora utile.
Dopo averla temperata per l’ultima volta, svuoto il temperamatite su un foglio e passo qualche minuto a guardare i suoi trucioli… lunghi, corti e con i bordi frastagliati e colorati che mi ricordano, chissà perché, i copricapi di piume degli indiani, la sua polvere di grafite, una sorta di diario della sua breve esistenza.
Mi sono sempre chiesta perché la maggior parte delle matite che mi sono passate tra le mani fossero gialle e nere. Pare sia una tradizione che risale al 1890 quando la ditta austro ungherese L. & C. Hardtmuth introdusse la marca Koh-I-Noor Hardtmuth, dal nome del celebre diamante indiano dal valore inestimabile, chiamato “montagna di luce” ed incastonato al centro della croce maltese della corona di Elizabeth Bowes-Lyon, conservata nel museo della Torre di Londra.
Il giallo voleva attirare l’attenzione sulla qualità del lapis di provenienza asiatica della grafite, poi venne associato al nero, richiamando i colori degli Asburgo, lo stesso look adottato nel 1955 anche dalla famosa casa di Berlino, la Noris Staedtler.

Emanuela Trevisan Ghiringhelli

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