Quando lavoravo, nel mio breve tragitto mattutino per raggiungere l’ufficio sia che il cielo fosse sereno o parzialmente nuvoloso, ero sempre accecata dal sole in punti diversi del percorso secondo lo scorrere dei mesi, dalla tarda estate a primavera.
Sebbene il vederlo splendere mi portasse tanta energia positiva, ci litigavo spesso per la sua accecante presenza che m’infastidiva alla guida ed era un continuo abbassare e alzare l’aletta parasole.
Da un anno a questa parte il sole e io abbiamo fatto pace, anzi, non voglio perdermi alcuna alba, quel nostro intimo incontro quotidiano che aspetto con trepidazione e che nelle giornate nuvolose o uggiose mi lascia un senso di vuoto non vederlo sorgere in tutto il suo splendore.
Non mi pesa puntare la sveglia molto presto in prossimità del solstizio d’estate per assistere all’aurora, aspettando che il sole faccia capolino dietro il Monte Generoso mentre consumo la colazione sul terrazzo, vedere che giorno dopo giorno si sposta un pochino quasi volesse ridisegnare il profilo della montagna italo-elvetica fino a far capolino dopo circa un mese dalla Grigna, tutti spettacoli mozzafiato.
Quasi volesse accompagnare la transumanza delle greggi che a fine estate scendono dai monti, da settembre il mio sole non sorge più dalle sagome delle montagne all’orizzonte ma dalla fitta vegetazione non lontana da casa ed è sempre più percepibile il suo lento intercedere verso il punto in cui sorgerà nel solstizio d’inverno, per poi intraprendere il percorso inverso.
Mi reputo molto fortunata ad abitare in una casa che mi permettere di assistere a questo quotidiano spettacolo, quando al mattino mi si presenta un quadro meditativo diverso, il miglior saluto al nuovo giorno.
I disegni astratti mutano quotidianamente, i colori della tela del cielo hanno sfumature diverse, a volte tenue, altre intense e stamane un piccolo stormo di uccelli che migrano verso chissà quale meta ha lasciato piccoli delicati segni nel dipinto naturale che assomigliano a un tocco di quella pittura sumi-e, introdotta in Giappone dei monaci Zen e che insegna a cogliere l’essenza oltre a far vibrare le corde più intime della sensibilità.
Emanuela Trevisan Ghiringhelli
(Nikon Z50, 50.0-250.0 mm f/4.5-6.3 – 165 mm, ISO 100, f/13, 1/125s)
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